MANTOVA
Relazione Colleoni Assemblea Generale Spi Mantova
28 Aprile 2025
Papa Francesco è morto e con la sua morte che tanto dolore ha provocato in molte di persone nel mondo, ha lasciato un segno profondo nella Chiesa e nella società, soprattutto sul fronte della giustizia sociale.
Ha insegnato ad amare i poveri, ma a combattere la povertà in quanto crimine contro la libertà e la dignità degli esseri umani.
Uno dei suoi messaggi più forti è stato il richiamo alla dignità del lavoro nello storico incontro tra il Papa e la Cgil.
Era il 19 dicembre del 2022 quando, per la prima volta, la Cgil viene ricevuta in udienza in Vaticano, nella grande e imponente sala Nervi.
Un evento storico, una lunga marcia di avvicinamento al mondo cattolico e a quello dell’associazionismo che dal tema sulla pace nel mondo ha finito per trovare un terreno comune, “una grande consonanza”, con laici e cattolici su quella “rivoluzione culturale e trasformazione sociale” con cui costruire un nuovo modello di sviluppo.
ci ha spronato a una conversione radicale degli stili di vita, di produzione e consumo che non sono più sostenibili per il pianeta e per buona parte dell’umanità.
Ha denunciato la civiltà “malata di consumo e vorace di profitto” nel tempo del tecno-capitalismo trionfante.
Ha abbracciato i poveri, i carcerati, gli esclusi.
Ha difeso i migranti, “cristi invisibili respinti in guanti bianchi”, nel tempo dei porti chiusi, delle deportazioni dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra, dall’ Italia nei lager in Libia e in Albania, ha sempre parlato di pace, anche quando nel mondo si alzavano venti di guerra.
Ha urlato contro la “Terza guerra mondiale a pezzi” nel tempo dei massacri in Ucraina o a Gaza e del riarmo planetario.
Ha esaltato la Ue come “autorità con competenze multiple che può evitare le derive dei nazionalismi”, nel tempo della Feccia sovranista che sfascia l’Occidente.
E ha tuonato anche sul nazifascismo, scrivendo “mai dimenticare quei momenti che hanno stravolto la vita di tanti innocenti”, nel tempo in cui persino in Germania dilaga il revanscismo.
Francesco è stato il Papa più amato e più inascoltato della modernità.
Su quella piazza per la sua sepoltura si trovavano capi di stato che lo hanno definito vergognoso, comunista e anticristo.
Poi hanno versato lacrime di coccodrillo sul suo feretro e lanciano l’Opa sul suo successore.
Da sempre la Chiesa interessa agli imperatori e agli aspiranti imperatori.
È la pretesa di chi crede al diritto della forza più che alla forza del diritto
Il professor Alberto Melloni, uno dei più noti e stimati storici del cristianesimo, ha maturato una tesi sorprendente (e inquietante) sul prossimo conclave
Oggi alla destra quello che manca è un collante, che naturalmente non può essere quello nostalgico o totalitario, per questo l’interesse è verso un collante religioso.
Negli Stati Uniti Trump si è appoggiato al protestantesimo evangelico, Vance invece offre al movimento Maga un’altra prospettiva, quella del cattolicesimo universale
Questa idea neo-carolingia di un papato condizionato dal potere “imperiale” che dalla Casa Bianca potrebbe concretizzarsi in un Papa conservatore.
Non sarebbe la prima volta che, nella storia, il potere politico prova a influenzare l’elezione di un Papa.
Non ci dimentichiamo che c’è anche Musk con Trump e il potere pervasivo della rete.
La Chiesa di oggi è vulnerabile a queste influenze.
Ogni tipo di maldicenza è esposta a uno strumento nuovo, l’allusione di massa
Bisogna aggiungere tuttavia che l’udienza di Vance in Vaticano non è stata proprio sfavillante.
È tornato a casa con un uovo di cioccolata dopo aver visto Bergoglio e Parolin.
Vance era venuto a Roma con l’idea di chiedere l’incoronazione da vice-imperatore ed è tornato a casa con tre ovetti Kinder.
Chissà se l’idea sia venuta al Papa o al segretario di Stato Parolin, ma certo è stata una risposta appropriata a chi realizzando lo schema ideologico del movimento 'M.A.G.A.' (Make America Great Again) sostiene questa sorta di semi-fascismo espressa dallo stesso Vance prima delle elezioni tedesche con il discorso di Monaco.
Non vedevano l’ora di seppellirla, la cassa di legno del Papa che si chiamava come il poverello di Assisi.
Si apre una nuova fase, non solo per la Chiesa cattolica, ma anche per noi.
Una nuova fase che devo dirvi è iniziata sobriamente.
Ho festeggiato sobriamente il 25 aprile?
A Mantova lo abbiamo fatto con una grande e bella manifestazione nel ricordo di Maria Zuccati: abbiamo cantato la libertà nel suo nome.
Comunque penso di aver festeggiato allegramente perché quella giornata era l’ 80 anniversario della liberazione d'Italia, noto anche come Festa della Liberazione.
E’ una festa nazionale della Repubblica Italiana, che si celebra per commemorare la liberazione d'Italia dall'occupazione nazista e dal fascismo.
Per questo è importante riuscire a rendere sempre viva la responsabilità che ogni cittadino ha nella difesa dei diritti basilari di libertà e autodeterminazione.
Al contempo, far comprendere quanto sia giusto gioire dei valori che hanno ispirato la Resistenza e che sono fondativi della nostra Costituzione e della vita democratica del nostro Paese.
Per questo La NOSTRA COSTITUZIONE nata dalla resistenza NON E ’AFASCISTA MA ANTIFASCISTA
È dunque per me una gioia che in questi tempi così difficili il nostro presidente della Repubblica non perda occasione per ricordarli questi valori con un vigore appassionato di cui tutti gli italiani dovrebbero essergli profondamente grati
Per la prima volta la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha parlato di «valori democratici negati dal fascismo».
Siamo ad un passo in avanti?
“timide ed esitanti” sono state definite le parole di Giorgia Meloni, da Renata Colorni, figlia del filosofo antifascista Eugenio, ucciso nel 1944, e cresciuta da Altiero Spinelli.
Visto che poche settimane fa ha avuto la faccia tosta di attaccare in parlamento il manifesto di Ventotene, un documento centrale dell’’antifascismo italiano, e dell’Europa di oggi.
Parole che hanno tutta l’aria di essere un “minimo sindacale” pronunciato a fatica.
Le ritengo dunque scarsamente credibili e significative.
Non a caso le sue parole sono accompagnate da risibili e meschine esortazioni alla sobrietà, che suonano offensive, o addirittura intimidatorie per tutti
Un peloso invito governativo alla “sobrietà della Festa”,
la Sorella d’Italia riesce a fare almeno un altro passo avanti sulla via della Memoria condivisa.
Per lei — figlia del Msi di Almirante e della fiamma tricolore e del “non restaurare, non rinnegare” — dev’essere stato faticoso ammettere che “la Nazione onora la sua ritrovata libertà e riafferma la centralità di quei valori che il regime fascista aveva negato e che da settantacinque anni sono incisi nella Costituzione”.
Per fortuna ci pensa ancora una volta Mattarella a colmare i vuoti mentali dei “Patrioti”. A ribadire che “è sempre tempo di Resistenza”, che dalla parte giusta della Storia c’erano i partigiani pronti a battersi per l’idea di libertà, quell’idea per la quale gli antifascisti erano costretti in carcere o al confino.
E per la libertà e per “l’idea dell’Europa dei popoli” che nacque nel confine di Ventotene che i partigiani avevano scelto di combattere armi in pugno a costo della vita mentre i repubblichini esaltavano la morte.
Oggi si cerca di modificare la storia attraverso scivolamenti graduali e regressioni progressive, imposture culturali e forzature normative di cui a volte nemmeno ci rendiamo conto, ma che un po’ alla volta sgretolano le fondamenta della Repubblica.
Per questo è e sarà sempre così importante il 25 aprile.
Finché ci saranno quelli che vogliono cancellarla come a Ustica isola del confino di Gramsci
Cancellata «A seguito del decreto del governo sul lutto nazionale e della circolare della Prefettura».
Il sindaco di Ustica Salvatore Militello, di Fratelli d’Italia, ha liquidato la festa della Liberazione nell’isola simbolo in cui vennero confinati intellettuali storici della sinistra italiana, come Antonio Gramsci, durante il regime fascista.
Il centrosinistra, ha comunque manifestato e deposto una corona per Gramsci.
È il testamento morale di Umberto Eco, che nel suo “Fascismo eterno” scrisse: “Libertà e liberazione sono un compito che non finisce mai.
Che sia questo il nostro motto: non dimenticate
Lo ribadisce Mattarella è sempre tempo di resistenza
Lo abbiamo gridato sobriamente in piazza
Ora è sempre resistenza
2025 è iniziato da soli quattro mesi, ma già assistiamo a dei grandi cambiamenti che stanno ridefinendo il nuovo equilibrio globale e il ruolo che l’Occidente, gli Stati Uniti e l’Europa hanno dentro questo nuovo equilibrio.
Cambiamenti che vanno dall’impatto delle strategie economiche di Trump alle tensioni nei principali scenari di conflitto, passando per il ruolo crescente dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie.
Sarebbe importante approfondire i rischi e le opportunità che questo nuovo scenario globale pone per l’Italia e, in particolare, l’impatto delle scelte politiche internazionali sulle nostre prospettive future, sulla nostra vita, sulle nostre pensioni.
Così come abbiamo fatto il 20 marzo a Bolzano dove abbiamo fatto una importante riflessione al nostro convegno sulla “Democrazia, la partecipazione, i diritti, e come porre un argine a questa destra radicale”, oggi sarebbe importante un attenta valutazione di come il ruolo dell’ Europa può incidere sul nostro futuro.
E come da quell’analisi è emersa una democrazia che non sta benissimo, stretta fra nazionalismi, populismi e individualismi considerati terreno fertile delle destre che in tutta Europa stanno avanzando e consolidando il loro potere l’argine a questa avanzata può essere solo un’azione unitaria e decisa delle forze progressiste di cui il sindacato è parte integrante e attiva.
In tal senso la tornata referendaria dell’8 e del 9 giugno rappresenta un banco di prova importante che dirà se la reazione è iniziata
Fammoni ci invitava dopo il nostro convegno a riflettere in particolare:
sull
’impatto delle nuove strategie americane sui conflitti globali in corso, dall’Ucraina al Medio Oriente;
analizzare le possibili conseguenze di un eventuale disimpegno degli Stati Uniti
dall’Occidente e il futuro dell’Europa;
approfondire l
’influenza di Elon Musk tra tecnologia, spazio e nuovi equilibri globali;
esaminare i rischi e le opportunità per l
’Italia, con particolare attenzione sull’impatto sulla popolazione, sui giovani, sulla Silver economy, sull’inverno demografico, in Italia così come nei principali sistemi globali.
Il 2025 sarà un anno decisivo per le grandi dinamiche geopolitiche globali, per i leader, i paesi, i grandi cambiamenti che stanno trasformando il mondo.
Lucio Caracciolo sostiene che il 2025, come il 2014 il mondo sarà alla prova dei fatti e si annuncia come l’anno in cui i grandi attori mondiali saranno chiamati alla prova dei fatti.
Gli Stati Uniti, con Donald Trump, dovranno tradurre promesse e retorica in azioni tangibili . Che fare sui dazi, sulle espulsioni di migranti, sui diritti civili, nei rapporti con la NATO e con gli alleati accidentali.
In Europa, la Commissione von der Leyen si troverà davanti a scelte difficili: riuscirà a rilanciare la competitività economica e rafforzare la capacità di difesa nonostante risorse limitate e una maggioranza sempre più fragile? E Germania e Francia riusciranno a uscire da una spirale di crescente instabilità politica ed economica?
Dall’altra parte del mondo, la Cina, con un’economia in rallentamento e un debito in crescita, cercherà di mantenere la stabilità interna mentre sfida gli Stati Uniti per la
leadership globale. Quale ruolo giocheranno i BRICS, in espansione ma ancora frammentati?
Infine, il 2025 sarà un anno cruciale per la gestione delle crisi in Ucraina e Medio Oriente, che continueranno a modellare l’agenda internazionale in assenza di soluzioni di pace e stabilità.
Se e quanto gli attori riusciranno a definire non solo l’anno che è cominciato, ma anche gli equilibri futuri di un mondo che cambia sempre più velocemente.
In Europa, il 2025 sarà la prova dei fatti innanzitutto per la nuova Commissione europea.
La riconferma di Ursula von der Leyen, che da “regina” è diventata “imperatrice” a guardare la libertà con la quale ha potuto comporre la sua squadra di commissari, cela il fatto che la maggioranza che la sostiene è più fragile e meno coesa, proprio mentre le sfide che dovrà affrontare l’Europa crescono e si fanno sempre più pressanti.
I prezzi dell’energia oggi sono tre volte più alti che negli Stati Uniti, la produzione industriale dei grandi paesi europei ha accelerato il suo (apparentemente inesorabile) declino, e i rapporti con gli Stati Uniti di Trump si preannunciano molto più tesi a partire dall’ imposizione dei dazi e della richiesta di passare al 5% del Pil la spesa per le armi.
Certo, Ursula dispone oggi di ben tre “piani” europei: quello proposto da Draghi per recuperare la competitività perduta, quello di Letta sul completamento del mercato interno, e quello dell’ex presidente della Finlandia Niinistö sulla difesa europea.
Si tratta però ora di capire se e come metterli in atto.
Il solo rapporto Draghi prevede un impegno aggiuntivo di spesa di 800 miliardi di euro l’anno: una cifra enorme rispetto al budget UE
Budget che oggi è fermo a meno di 200 miliardi, due terzi dei quali destinati alla politica agricola comune e alle politiche di coesione (non certo agli investimenti per il futuro dell’Unione).
Sarà una sfida trovare i soldi per realizzare questi piani in una UE in cui il debito pubblico medio si avvicina ormai al 90% e la crescita annua ristagna intorno all’1%.
Inoltre Draghi è stato chiaro: senza riforme profonde, spesso a costo zero ma politicamente sensibili, l’Europa rischia comunque una lenta marginalizzazione di fronte alla concorrenza di Washington e Pechino.
Proprio qui emergono le fragilità dei due principali “motori” europei, che di riforme strutturali proprio non parlano.
Insomma, è evidente: il tempo dei piani, delle promesse e delle ambizioni è finito.
Occorre passare dalle parole ai fatti.
Anche perché quasi nessuno, nel mondo, può permettersi ulteriori rinvii.
Sono problemi che, in ultima analisi, derivano in buona parte dalla nostra persistente difficoltà a sentirci europei, a fare cose insieme, impedendoci di raggiungere una scala di operazioni confrontabile con quella delle imprese statunitensi o cinesi.
O superiamo queste difficoltà o il XXI secolo sarà ricordato come quello del definitivo declino economico del nostro continente e non certo per la sopra citata correzione dei conti pubblici dei singoli paesi europei.
Semmai quello che manca è una capacità di sentirci Europei non solo a parole, ma nel concreto della costruzione di una Nazione.
Ma quella è un’altra storia, anche quella un riflesso della parzialità dell’Unione Europea.
Cosa rischia l’Italia?
In gioco, per la leader di Fratelli d’Italia non c’è solo la credibilità a livello europeo e internazionale.
Con quasi 40 miliardi di euro, il surplus commerciale dell’Italia con gli Stati Uniti – dove le nostre aziende esportano macchinari, prodotti farmaceutici, veicoli, moda, alimenti e bevande – è il terzo più grande nell’Ue dopo quelli di Germania e Irlanda.
Gli Stati Uniti assorbono il 10% delle esportazioni italiane e dal 2023 sono diventati il secondo mercato di destinazione dei nostri beni inviati all’’estero.
“Non sento alcuna pressione, come potete immaginare, per i prossimi due giorni” ha ironizzato, parlando ai leader aziendali italiani poco prima della partenza per gli Stati Uniti.
In realtà, Meloni sa bene cosa c’è in ballo per l’Italia.
Secondo Confindustria, se i negoziati tra Stati Uniti ed Europa fallissero il nostro paese vedrebbe il suo Pil contrarsi nei prossimi due anni, rischiando la perdita di molti posti di lavoro.
Roma poi avrebbe poco da guadagnare anche dal cercare di negoziare un accordo ‘separato ’con Washington.
Molte produzioni italiane, infatti, sono destinate alla componentistica per auto delle fabbriche tedesche, il che significa che il settore industriale sarebbe comunque duramente colpito se non si raggiungesse un accordo con gli Stati Uniti.
Le debolezze strutturali dell’industria, incapacità del Governo e del sistema di imprese di elaborare adeguate strategie per uscire dalla crisi con investimenti e l’idea mai superata che i mercati si
auto-regolano lasciando di fatto in mano ai fondi di investimento e alle multinazionali, nel nostro paese si traducono con il 25° mese consecutivo di calo della produzione industriale.
Una crisi che conta decine di vertenze aziendali in atto per impedire chiusure e licenziamenti e crisi di interi settori ormai strutturalmente rappresentate ai tavoli aperti al Ministero.
E ’necessario contrastare la crisi, con l’obiettivo di difendere il lavoro, impedire le chiusure e i licenziamenti.
La cassa integrazione se da un lato permette la tenuta
organizzativa delle imprese e tenuta occupazionale, dall’altro determina una perdita secca delle retribuzioni
innescando spesso una vera e propria emergenza salariale.
I piani industriali, gli investimenti, sono strumento per garantire una prospettiva alle aziende in crisi e la continuità lavorativa e di reddito delle lavoratrici e dei lavoratori.
In Italia con il governo meloni è salito il rischio di povertà tra le persone che lavorano anche se impegnate a tempo pieno
Questo uno dei fatti salienti che emerge dalle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali , sono anche il 10% dei lavoratori occupati a rischio povertà.
Per 10 milioni di famiglie troviamo difficoltà ad affrontare anche spese minime mentre cresce il divario con le entrate dei ricchi.
Nel nostro paese ci sono circa cinque milioni di persone che non riescono ad affrontare cinque delle 13 spese contenute nell’indicatore Eurostat quali avere una casa adeguatamente riscaldata, poter fare almeno una settimana di vacanza, far fronte a spese improvvise, poter fare un pasto con proteine almeno ogni due giorni, avere una connessione internet, avere almeno due paia di scarpe e così via.
Il Rischio povertà sale tra gli anziani e aumenta tra gli over 65.
Secondo l'Eurostat nel complesso le persone in una situazione di indigenza in Italia sono 11 milioni 92mila.
Se si guarda alla popolazione a rischio povertà o esclusione sociale, ovvero quella che si trova almeno in una delle condizioni di difficoltà quali la povertà monetaria, la grave deprivazione materiale o la bassa intensità di lavoro, la quota nel 2024 è del 23,1% della popolazione, in aumento dal 22,8% del 2023.
E con questa situazione ci troviamo pure con la presentazione, in questi giorni, da parte del governo, del Documento di economia e finanza che più che tracciare la rotta del Paese, sembra essersi perso in mare aperto.
È questo il giudizio trasversale emerso dalle audizioni parlamentari sul nuovo Dfp, che ha sostituito il tradizionale Def.
Sindacati, associazioni d’impresa, istituzioni: tutti, chi più chi meno, lanciano l’allarme. Manca la visione, manca la strategia. E soprattutto mancano i conti: quelli veri.
Per la CGIL: “CERTIFICA IL FALLIMENTO DEL GOVERNO”
“Purtroppo, non è emersa alcuna novità positiva dall’audizione parlamentare del ministro Giorgetti.
Anzi, emerge una grave sottovalutazione dei rischi che corre l’Italia”.
Così il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari. “La revisione al ribasso del Pil non è frutto di un atteggiamento prudente, ma è frutto di 25 mesi di calo della produzione industriale e del fallimento delle politiche economiche del governo e la situazione non potrà che peggiorare con quanto sta accadendo a livello internazionale”.
La tenuta dei conti pubblici "non è segno della serietà del governo, ma conseguenza del ritorno a un’austerità selettiva tutta scaricata sui redditi fissi che, oltre alla drammatica perdita del potere d’acquisto subita a causa di un’inflazione non recuperata, hanno pagato nel 2024 circa 18 miliardi di euro di extra gettito Irpef”.
Sullo sfondo, l’ombra lunga del nuovo Patto di stabilità europeo,“ una scelta autolesionista” che promette austerità a lungo termine.
Non va meglio sul fronte delle imprese. Confesercenti teme un crollo dei consumi pari a 11,9 miliardi e 50.000 posti di lavoro in fumo.
Confcommercio invoca “scelte strategiche”, mentre artigiani e piccole imprese chiedono interventi “mirati e coraggiosi”: la prudenza contabile, da sola, non basta.
CORSA CONTRO IL TEMPO
Nel frattempo, la tempistica parlamentare si complica. Il voto sul Dfp, inizialmente previsto entro il 30 aprile per rispettare i vincoli europei, rischia di slittare al 6 maggio. Che il Dfp, già giudicato debole nel merito, diventi anche un caso politico nel metodo. Il governo rischia che l’Italia si presenti a Bruxelles con un documento in ritardo e con poche certezze sul futuro.
Ecco dove servirebbe la sobrietà di un governo
Purtroppo non è bastato un grande 25 aprile di lotta
Ma lottiamo per un 8 e 9 giugno dí grande partecipazione.
Al lavoro, alla lotta e al voto