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Relazione 4-07-25 sgr gen SPI MN

Aumento della Spesa Militare al 5% in Italia: Chi Paga il Conto

Il dibattito sull'aumento della spesa militare in Italia ha raggiunto un nuovo livello di intensità, con la recente proposta di raggiungere il 5% del PIL destinato alla difesa entro il 2035. Questa prospettiva, emersa dal recente vertice NATO all'Aia, rappresenta un salto imponente rispetto all'attuale 1,5% circa del PIL e persino rispetto all'obiettivo del 2% fissato per il 2028. Le implicazioni di un tale incremento sono profonde e sollevano interrogativi cruciali su chi sarà chiamato a pagare il conto, con particolare riferimento ai pilastri dello Stato sociale italiano: pensioni, sanità e istruzione.
Attualmente, l'Italia destina alla difesa circa 30-33 miliardi di euro all'anno. Portare questa cifra al 5% del PIL significherebbe un incremento astronomico, stimato dagli osservatori come Milex (osservatorio per le spese militari) tra i 75 e i 100 miliardi di euro aggiuntivi all'anno. Questo si tradurrebbe in un impegno finanziario complessivo di oltre 100 miliardi di euro annuali per la difesa entro il 2035.
Una cifra di questa portata pone una sfida senza precedenti per la finanza pubblica italiana, già gravata da un debito elevato. Come evidenziato da molti economisti, un aumento così massiccio richiederebbe un profondo ripensamento della finanza pubblica. Le opzioni per reperire tali risorse sono limitate: o attraverso un aumento significativo delle tasse o attraverso tagli drastici ad altre voci di spesa pubblica. Ed è qui che emerge il cuore del dibattito e la preoccupazione per il destino delle pensioni, della sanità e dell'istruzione.
Il sistema pensionistico italiano è la voce di spesa più importante del bilancio statale. Già alle prese con le sfide dell'invecchiamento della popolazione e della sostenibilità a lungo termine, un dirottamento così massiccio di risorse verso la difesa potrebbe avere conseguenze devastanti. 
Se si dovessero trovare decine di miliardi di euro aggiuntivi all'anno per la difesa, questa destra guarderà al sistema pensionistico come prima fonte per trovare parte delle coperture necessarie.
Questo potrebbe tradursi in un rallentamento o blocco di miglioramenti. Ogni proposta di riforma pensionistica volta a garantire maggiore equità o adeguamenti agli assegni più bassi potrebbe essere accantonata o fortemente ridimensionata.
Il governo Meloni, al momento della sua ascesa, aveva tra i suoi punti programmatici un impegno significativo verso l'aumento delle pensioni minime, con l'obiettivo ambizioso, di portarle a 1.000 euro entro la fine della legislatura (2027).
Tuttavia, l'implementazione di tali promesse ha generato un acceso dibattito e diverse critiche. Nel corso dell'ultimo triennio, si è osservato che gli aumenti effettivi delle pensioni minime sono stati ben al di sotto delle aspettative create.
In particolare le opposizioni e i sindacati hanno frequentemente denunciato gli aumenti come "elemosina" o "mancette miserabili", evidenziando come non rispondano al reale aumento del costo della vita e non riescano a sostenere efficacemente i pensionati che sopravvivono con assegni vicini al minimo (circa 600 euro mensili).
Il governo ha spesso richiamato la necessità di conciliare le esigenze di spesa con la sostenibilità dei conti pubblici, ma sono sempre quelle persone che quando erano all’opposizione dicevano l’opposto.
In sintesi, le aspettative generate  dalle tante promesse specialmente sulle pensioni non sembrano essere state soddisfatte nel corso dell'ultimo triennio del governo Meloni, con aumenti che, pur presenti, sono stati giudicati insufficienti a fronte del crescente costo della vita.
Non si esclude quindi la possibilità di nuove restrizioni sull'età pensionabile, sul calcolo degli assegni o sui meccanismi di indicizzazione, al fine di liberare risorse per la spesa militare.
 La Cgil e lo Spi hanno già espresso preoccupazione che ciò possa portare alla "fine dello stato sociale" e a una "torsione epocale" delle funzioni dello Stato.
Anche la sanità, già fragile, è ancora più a rischio
Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano è da anni sottofinanziato e in affanno. L'invecchiamento della popolazione, l'aumento delle patologie croniche e i costi crescenti delle nuove tecnologie mediche richiederebbero investimenti ben maggiori di quelli attuali.
 Se il governo dovesse destinare decine di miliardi alla difesa, la sanità sarebbe una delle prime vittime.
Come sottolineato da diverse voci politiche e sindacali, un aumento al 5% della spesa militare può portare a tagli astronomici. Si parla di somme pari a oltre la metà dell'intero Fondo Sanitario Nazionale. 
Questo si tradurrebbe in una forte riduzione dei servizi, ad una minore disponibilità di prestazioni, liste d'attesa più lunghe, ed infine alla chiusura di presidi ospedalieri.
Avremmo una diminuzione della qualità, investimenti ridotti in nuove tecnologie, in una forte diminuzione del personale e delle strutture pubbliche, con un peggioramento generale della qualità delle cure. 
Il tutto a vantaggio di una maggiore spesa privata. I cittadini sarebbero costretti a ricorrere sempre più alla sanità privata, aumentando le disuguaglianze e il peso economico sulle famiglie.
Avremmo Il Futuro del Paese Compromesso dal punto di vista del welfare.
Anche L'istruzione ne sarebbe fortemente ridimensionata, sapendo che in questo caso si starebbe intervenendo su quello che è il motore dello sviluppo di un Paese e del suo capitale umano.
Già  in Italia, il settore scolastico e universitario hanno sofferto per anni di cronico sottofinanziamento. Se le risorse venissero dirottate verso la difesa, l'istruzione subirebbe un colpo durissimo, compromettendo le prospettive delle future generazioni.
Le conseguenze potrebbero includere mancanza di investimenti: Meno fondi per l'aggiornamento delle strutture, la digitalizzazione, i laboratori e le tecnologie didattiche.
Precarietà del personale: Stipendi bassi per insegnanti e personale scolastico, difficoltà nell'assunzione di nuove leve e nella copertura delle cattedre.
Qualità della didattica: Un peggioramento complessivo dell'offerta formativa, con un impatto negativo sulla preparazione dei giovani e sulla competitività del Paese.
Quindi Chi Paga il Conto Finale?
La risposta è chiara: i cittadini italiani ed i pensionati.
Non si tratta solo di nuove tasse dirette, ma di un trasferimento implicito di risorse dai servizi essenziali che garantiscono il benessere e il futuro della collettività verso il settore della difesa. 
Le famiglie si troveranno a fronteggiare: Meno servizi pubblici, Una sanità più debole, scuole meno attrezzate e un sistema pensionistico insufficiente.
Avremmo una Maggiore pressione fiscale: Diretta (se si aumentano le tasse) o indiretta (se i servizi peggiorano e si è costretti a ricorrere al privato). 
Un aumento delle disuguaglianze crescenti. Chi può permettersi di integrare i servizi pubblici con quelli privati sarà avvantaggiato, mentre le fasce più deboli della popolazione saranno penalizzate.
La stessa agenzia S&P ha lanciato l'allarme, avvertendo che un fragoroso aumento della spesa militare in Europa rischia un "boomerang politico" se i governi non sapranno mediare tra sicurezza e coesione sociale. 
Un mancato consenso popolare e i tagli a sanità, istruzione e welfare possono aprire spazi per l'ascesa di populismi e malcontento. Il rischio è che l'Italia, e l'Europa in generale, sacrifichino il futuro del proprio welfare per una corsa agli armamenti che, secondo molti, lungi dall'avvicinare automaticamente la pace e la sicurezza, rischia di avere effetti ben diversi da quelli presentati.
Un riarmo massiccio da parte di un paese può essere percepito come una minaccia da altri Stati, innescando una corsa agli armamenti e aumentando la probabilità di conflitti, anziché dissuaderli. La "sicurezza" intesa solo come capacità militare può portare a una percezione di insicurezza reciproca.
Un'enorme spesa militare favorisce l'industria della difesa e i suoi lobbisti, che potrebbero avere un'influenza sproporzionata sulle decisioni politiche, orientando le scelte verso ulteriori investimenti in armamenti, anche quando non strettamente necessari per la sicurezza. 
Porterebbe il Paese ad una percezione di "Stato di guerra" anziché "Stato sociale": Spostare una quota così ampia del PIL verso la difesa può alterare la percezione delle priorità nazionali, suggerendo una mentalità orientata al conflitto anziché al progresso civile e alla cooperazione internazionale.
 La vera sicurezza include non solo la difesa militare, ma anche la sicurezza economica, alimentare, sanitaria, climatica e sociale. Un focus eccessivo sulla spesa militare può portare a trascurare queste dimensioni fondamentali della sicurezza, rendendo la società più vulnerabile 
Un aumento così marcato può veicolare l'idea che i problemi complessi abbiano soluzioni militari, sottovalutando l'importanza della diplomazia, della prevenzione dei conflitti, dello sviluppo e della cooperazione multilaterale come strumenti per la pace e la stabilità.
In sintesi, la decisione di aumentare la spesa militare al 5% del PIL, viene presentata come una necessità geopolitica di sicurezza, in realtà implicherebbe un profondo riordino delle priorità nazionali. Senza una crescita economica straordinaria e sostenuta, il finanziamento di tali ambizioni militari ricadrebbe in modo significativo sulle spalle dei cittadini, riducendo la qualità e la disponibilità di servizi pubblici fondamentali e mettendo a rischio il modello di stato sociale costruito nel dopoguerra.
 
FERDINANDO COLLEONI(Segretario generale Spi Mantova)
 
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Relazione di Emma al convegno SPI a BG 2024

 

Buongiorno a tutti,

Lo SPORTELLO SOCIALE SPI-CGIL di Mantova è stato avviato nei primi mesi del 2017 in un contesto problematico.

Emma al convegno SPI BG2024All’inizio eravamo solo in 3 e ci siamo trovati subito di fronte ad una serie di sfide per noi nuove.

All’interno dello SPI c’era anche chi dubitava dell’efficacia del progetto.

Ma non ci siamo lasciati abbattere.

Abbiamo investito tempo ed energie per creare una rete di contatti con uffici e istituzioni, acquisendo sul campo, giorno dopo giorno, le competenze necessarie per offrire un aiuto concreto.

Nei primi tempi, con fatica, abbiamo attivato lo Sportello in tutte le nostre 6 sedi ministeriali mantovane e vedevano circa 20 persone al mese, prevalentemente di origine extracomunitaria.

Con il tempo la situazione è cambiata radicalmente, oggi assistiamo in media circa un centinaio di persone al mese tra Mantova e provincia e la maggior parte sono italiani, segno delle crescenti difficoltà economiche e sociali tra i nostri concittadini.

Ora stiamo lavorando per estendere il servizio a tutte le sedi dello SPI, puntando a coprire le 12 leghe e i 64 recapiti comunali della provincia di Mantova.

Oggi, qui a Bergamo, è presente un folto gruppo di Sportellisti, noi di Mantova e provincia siamo in 25, sempre pronti ad aiutare il prossimo.

Uno dei nostri primi strumenti di lavoro è stato il “QUADERNO DEI DIRITTI” interamente ideato e scritto da 2-3 persone, tra le quali, con grande piacere c’ero anch’io. Il QUADERNO era suddiviso in vari argomenti, che sono stati successivamente assemblati, trasformandosi in un manuale completo. È stato poi stampato in numerose copie, diventando una guida preziosa e di riferimento per tutti gli operatori.

Successivamente è arrivato uno dei periodi più difficili della storia dello SPORTELLO, IL COVID. Questa emergenza ha reso il nostro lavoro più impegnativo, ma nonostante tutto, abbiamo continuato a sostenere chi ne aveva bisogno, anche a distanza, utilizzando telefono ed e-mail. Abbiamo ascoltato con attenzione le problematiche, soprattutto degli anziani e delle persone più fragili. Tra le persone assistite, c’erano anche coloro che avevano ricevuto i verbali relativi alle esenzioni ticket.

Oggi le problematiche sono aumentate e ci siamo anche resi conto che la preparazione degli operatori non è ancora del tutto uniforme ed adeguata. Per questo ci impegniamo in una formazione continua, sia con corsi collettivi con il Regionale, che attraverso affiancamento individuale.

Una qualità importante per noi sportellisti è la SENSIBILITA’ ALL’ASCOLTO. Alcuni operatori sono più propensi all’utilizzo della tecnologia, ma è fondamentale bilanciare questa abilità con l’ascolto per garantire un servizio completo e di qualità.

Un enorme passo in avanti, è stata l’introduzione della CALCOLATRIE dei DIRITTI, uno strumento sempre in evoluzione che ci aiuta a calcolare in modo preciso e rapido le agevolazioni a cui le persone possono accedere.

Con questo strumento, basandoci sull’ISEE e su altri dati forniti dalla persona assistita, possiamo determinare i loro DIRITTI.

Va sottolineato altresì il nostro impegno nella negoziazione sociale con i Comuni, per garantire servizi inclusivi che rispondono alle esigenze dei cittadini più fragili. Da notare che ora è possibile visualizzare gli accordi con i Comuni anche sulla stessa Calcolatrice dei Diritti.

Ora vorrei esprimere alcune riflessioni su ciò che ha reso il nostro lavoro ancora più complesso e impegnativo.

Questo governo dichiara di voler tutelare le famiglie, ma ignora chi non ha accesso a un lavoro dignitoso, chi è costretto alla precarietà o non può permettersi di formare una famiglia a causa della crisi economica. Le persone fragili, disabili, i non autosufficienti, lavoratori sfruttati e sottopagati, famiglie e pensionati con redditi insufficienti, sono lasciate indietro, senza una rete di protezione adeguata.

Queste decisioni irresponsabili stanno ampliando le disuguaglianze, spingendo sempre più persone verso la povertà.

Vorrei concludere con un mio pensiero…. non riesco a spiegarmi perché queste persone non scendono in piazza a manifestare ed a urlare il loro dissenso.

Noi, come SPI dobbiamo farlo e lo faremo.

È tempo che il Governo ascolti il grido di chi è stato dimenticato e si assuma le sue responsabilità, dobbiamo lottare per costruire un vero sistema di protezione sociale, non possiamo permetterci di farci dire ancora “voi dov’eravate”.

Vi ringrazio per l’attenzione.

W la CGIL, W lo SPI

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Venerdì 24 novembre sciopero generale con corteo a Mantova

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(dal sito della CGIL MANTOVA)

Venerdì 24 novembre sciopero generale di 8 ore con corteo a Mantova: i dettagli

Il Corteo partirà alle ore 9 da Piazzale Gramsci per raggiungere piazza Martiri dove sono previsti gli interventi di sindacalisti e lavoratori.

CGIL e UIL hanno indetto uno sciopero nazionale di 8 ore per contrastare una politica governativa che non pensa alle lavoratrici e ai lavoratori, alle pensionate e ai pensionati e ai giovani. Insomma non ha una visione di futuro per il Paese

Scioperiamo e manifestiamo per alzare i salari, per estendere i diritti e per contrastare una legge di bilancio che non ferma il drammatico impoverimento di lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati e non offre futuro ai giovani

Scioperiamo e manifestiamo a sostegno di un’altra politica economica, sociale e contrattuale, che non solo è POSSIBILE, ma NECESSARIA e URGENTE!

Ecco i dettagli organizzativi della manifestazione con corteo che si terrà a Mantova città a cui raccomandiamo a tutte e tutti la partecipazione:

CONCENTRAMENTO D’INIZIO CORTEO: ore 9.00 in Piazzale Gramsci

PERCORSO DEL CORTEO: Piazzale Gramsci- Via Dugoni- Via Chiassi- Piazza Martiri di Belfiore

FINE MANIFESTAZIONE: Comizio conclusivo in Piazza Martiri di Belfiore (fine della manifestazione prevista intorno alle 11.30)