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RELAZIONE E SALUTO DEL SEGRETARIO SPI MANTOVA CARLO FALAVIGNA AL XI CONGRESSO

11° Congresso Spi/Cgil di Mantova

Rivalta sul Mincio 19/20 dicembre 2022

Buongiorno, ben arrivat*e buon Congresso.

Care Compagne e Cari Compagni, Gentili Invitati,

Grazie della vostra generosa presenza che non mancherà di rendere prezioso perché ricco di pensieri, il nostro 11° congresso.

Lasciatemi altresì ringraziare il Segretario Generale della Cdlt di Mantova, Daniele Soffiati, che concluderà i lavori della giornata odierna e il Segretario Generale dello Spi/Cgil della Lombardia, Valerio Zanolla che chiuderà, nella mattinata di domani, il nostro Congresso. Grazie Valerio di esserci stato accanto in questi 4 anni maledettamente complicati. Non hai mai lesinato la tua vicinanza, il tuo sapere e la tua umanità.

La platea non me ne voglia se saluto con particolare affetto, con stima, con amicizia, la delegazione dei Compagni Gemelli di Bolzano, con i quali ci siamo gemellati nel marzo del 2016, questo insieme di donne e di uomini dalle esperienze così diverse, che hanno prodotto in questi anni iniziative di spessore culturale e politico elevato. Gastone e la sua squadra prima, Alfred ora e il team dello Spi di Mantova hanno creduto in questa avventura. Nulla era scontato ma unire gli asburgici con i padani è risultato vincente. Auguro al nuovo Gruppo Dirigente dello Spi di Mantova che sappia nutrire questo rapporto.

Ringrazio la Professoressa Sartor che con la sua lectio magistralis ci fornirà gli spunti necessari sulla sanità di oggi.

Infine ringrazio l’assessore Andrea Caprini che oltre che essere un amico dello Spi di Mantova e dello Spi/Lgr di Bolzano ci darà, seppur in un tempo limitato, alcuni spunti sul welfare comunale e di ambito, che ci serviranno per la nostra negoziazione sociale, avviatasi da alcune settimane su tutto il territorio mantovano.

Ho attraversato mondi politicamente e sindacalmente intriganti, incontrato e conosciute donne e uomini straordinari dai quali ho attinto saperi, culture, conoscenze, inestimabili, per questa ragione, da subito mi è apparso ostico e faticoso costruire un intervento che esprimesse un groviglio di pensieri derivanti da una attività che ha percorso mezzo secolo. Le ispirazioni hanno tardato ad arrivare, nel contempo l’onda dell’inquietudine saliva al trascorrere dei giorni che mi separavano dal congresso. Poi ho scelto di non fare torto alla vostra pazienza, di non scadere nella retorica, nell’oratoria fine a sè stessa, evitando molti passaggi dall’alta intensità emozionale ( il video, trasmesso da Roberto, non mi aiuta ) e quindi mi sono orientato a restare nella sfera congressuale. Quindi non ripercorrerò la storia degli ultimi 4 anni, li abbiamo vissuti intensamente, persino divorati, in una sorta di bulimia, sono in noi, nel nostro cuore, nella nostra mente, se possibile persino nella nostra anima. Parlo di anima e allora mi sovviene alla mente l’incontro che in queste ore una nutrita parte del Gruppo Dirigente della Cgil nazionale e territoriale è in visita dal Santo Padre, non so se alla ricerca di un perdono dei nostripochissimi peccati o se invece nel tentativo di saldare un rapporto che, è sempre esistito, tra il mondo cattolico e la Cgil e che si è plasticamente palesato nella manifestazione del 5 novembre sul tema della Pace, essendo consci che quel mondo non è una massa informe ma viene anche rappresentata da gruppi di potere assai influenti nell’universo economico, finanziario, socio-sanitario, con capacità lobbistiche e di pressione impressionanti.

Per rendere più agevole il mio intervento mi sono avvalso dell’utilizzo di qualche metafora.

Il nostro 11° congresso, non poteva che avere un’overture composta dalla musica e da una canzone, perché le stesse sono ancestralmente sinonimo di vita, di insieme, di armonia, di poesia, di sogni.

Un’imbrunire, di una giornata qualsiasi, nel mentre viaggiavo nell’ufficio semovente di qualsivoglia sindacalista e non solo, perché noi siamo coloro che nell’universo della realtà allargata parliamo con noi stessi o con qualcuno collegato con noi, urliamo, cantiamo, pensiamo, persino ci emozioniamo, nelle 4 lamiere che ci proteggono, una musica ha fermato il mio pensiero, la canzone di Roberto Vecchioni “ sogna ragazzo sogna “ che ha accompagnato il video proiettato. Mi è subito apparsa come congruente al nostro invecchiamento. Niente sindrome di Peter Pan, ma dissonnare il ragazzo che è in noi e che in modo carsico esce con prorompenza a ogni piè sospinto. Ad ogni emozione egli appare, a volte lo ricacciamo per il nostro antico pudore di mettere in mostra questo giovinetto che è in noi, ma che ci aiuta a mantenerci in sintonia con la modernità. Spesso ci sentiamo dire “ ma guarda quel vecchio che si atteggia all’essere giovane, ma non si vergogna “ no semplicemente quell’atteggiamento è il frutto di quel ragazzino che non vuole andarsene. In questo luogo bucolico, all’interno del Parco del Mincio, si è tenuto il Congresso della Filctem che è iniziato con un’apertura che partiva da un video che rappresentava, in parte, la storia delle lavoratrici tessili che hanno reso ricco, originale e conosciuto in tutto il mondo il territorio mantovano. Quelle tessitrici che hanno saputo anche rammendare e tenere insieme i propri nuclei e le comunità ad esse appartenenti. In un grande gioco di specchi le compagne e i compagni di quella categoria sono partiti dalla memoria e noi siamo partiti dal nostro sguardo sul futuro. Il giovane che abita in noi.

  

All’inizio del mio intervento vi ho augurato buon congresso ora aggiungo buona salute. Quella salute che è stata minata dalla pandemia, che ha lasciato segni indelebili a chi l’ha attraversata, cheha indebolito le nostre reti famigliari ed amicali sottraendoci all’affetto delle persone che abbiamo amato e che restano nei nostri cuori. Lasciatemi citare, simbolicamente, il Compagno Giuliano Ghizzi dall’umanità infinita, quale rappresentante di tutte quelle donne e quegli uomini che in solitudine ci hanno abbandonati, lasciandoci in uno stato di prostrazione incredibile.

Non possiamo però non ricordare che la maggior responsabilità di questa ecatombe è da imputare alla giunta regionale capitanata dal governatore Attilio Fontana e da Letizia Moratti e da coloro che hanno guidato, negli ultimi decenni, la regione Lombardia, da Formigoni a Maroni. Negli anni hanno privatizzato la sanità, desertificato la medicina territoriale e depauperato la prevenzione. È imperdonabile il loro fallimento e il loro tradimento nella gestione della cosa pubblica. Per questa ragione sono indotto a pensare che la Cgil, sempre nell’ambito della propria autonomia,(che richiamerò ) debba scendere nell’agone politico ed indirizzare il mondo che rappresenta affinchè alle prossime elezioni regionali ci sia un cambio di verso. In questo contesto plaudente è l’iniziativa dello Spi Lombardia di tessere una tela che veda almeno le forze di centro sinistra presentarsi unite, esponendo a loro le posizioni sindacali sulla visione che abbiamo della nostra regione e che vorremmo fosse fatta loro. Come va lodato l’incontro organizzato dallo Spi Regionale con il candidato Maiorino. Abbiamo nozione delle osservazioni politiche che ci faranno, delle strumentalizzazioni che addurranno, ma non è più il tempo di dare retta ai canti delle sirene, la Lombardia risulta essere tra i più grandi motori economici, finanziari e produttivi dell’ intero sistema mondiale ma ha determinato nel tempo uno squilibrio sul versante dei valori, dei diritti, per questa ragione dovremmo farlo divenire un territorio di sperimentazione politica, sociale e di solidarietà, a partire dal recupero delle sacche di povertà, delle disuguaglianze e che sappia prendersi cura dei propri giovani come dei propri anziani edificando un welfare inclusivo. Intollerabile osservare come i politici al comando della Regione lascino che gli anziani e non solo siano costretti a scegliere se curarsi o alimentarsi, se curarsi o finanziare il proprio figlio o nipote. Non posso non ricordare che non esiste, perché non costruita, la connessione tra la metropoli e le città, che non esiste un legame persino con le aree interne, che rischiano lo spopolamento. Quale esempio potremmo utilizzare il tema della mobilità, o dell’abbandono delle periferie. Per declinare il tutto necessita assumere atteggiamenti radicali financo rivoluzionari, per dirla con Pedretti dobbiamo metterci la faccia. Per essere rivoluzionari abbisogna strumentare culturalmente le nostre compagne e compagni, perché si è tutto maledettamente complicato, la realtà si è allargata, il mondo cambia ad una velocità vorticosa, quindi la formazione del quadro dirigente deve andare di pari passo al cambiamento, passione per l’erudizione, profondità del pensiero, la formazione continua, si trasformano magicamente nella consapevolezza che le novazioni, le tante transizioni che o si guidano o se ne è travolti. Perdio cambiamo la lessicalità sindacale, dobbiamo ritornare a coinvolgere e a condividere con la nostra gente, abbiamo assunto involontariamente forme di ostentazione della verità, dell’arroganza culturale che non ci è mai appartenuta e quindi smettiamola con la formula del “dobbiamo far capire“. Uno dei possibili sguardi ce lo fornisce il documento dello Spi nazionale “ l’interesse generale “ in quel documento troviamo una visione e la linfa necessaria che alimenta il nostro orizzonte. Per riassumere è vitale dotarci di strumenti per decodificare la contemporaneità. Lo stesso benessere passa per quella via. Infine, il dubbio, la flessibilità, unita alla duttilità, e la curiosità, debbono essere i nostri migliori compagni di viaggio.Questo governo regionale e nazionale, che alimenta l’imbarbarimento nei rapporti, che ci imbruttisce, che spacca il paese ossigenando le povertà e le disuguaglianze non fermerà il nostro continuo desiderio di stupirci e di meravigliarci di fronte al bello e di fronte al futuro. Non permetteremo la costruzione di una società dove le persone non pensano e quindi siano in balia degli eventi. Non permetteremo una intossicazione di individualismo che partorisce nazionalismi generatori di un grande ego che si trasformano in tanti io isolati. Ma non ci culleremo nemmeno su questo pseudo riformismo, usato abilmente dalle forze politiche, divenuta una parola talmente ambigua da essere diventata impronunciabile. Ricordo a tutti noi che il riformismo era l’imbrigliare il capitalismo sulla base di esigenze sociali in un processo di graduale trasformazione in senso democratico. Oggi invece è divenuto l’imbrigliamento delle questioni sociali sulla base delleesigenze del capitalismo globale. Anche per questa ragione noi dobbiamo diventare rivoluzionari. Ridare una nuova scala ai valori. Quei valori che ci hanno accompagnato nei sentieri che abbiamo percorso e che si sono smarriti in un indistinto nel quale è difficile raccapezzarsi. La libertà, la democrazia, la solidarietà, l’onestà. Riprenderò il senso di questi valori. Ma lasciatemi dissertare sulla questione dell’autonomia sindacale dalla politica, spesso essa viene scambiata per indipendenza. Quindi il tentativo di allontanarsi, del ripudiare persino le nostre radici, questo è anche avvenuto durante l’ultima campagna elettorale. Le forze più retrive del paese diffondono il messaggio per il quale il sindacato non deve fare politica, che deve essere assertivo al potere. Il sindacato per antonomasia è un soggetto politico e la sua mission è fare politica, costruire futuro, visioni, orizzonti. Mai servili, mai ancillari, mai compiacenti al vassallo di turno. Ce lo hanno insegnato Di Vittorio, Lama, Trentin e tutti i nostri padri fondatori. La nostra storia, il nostro quotidiano, sono li a testimoniare la nostra autonomia. Tutto bene. No. Per conservare, estendere e rafforzare la nostra libertà, in un mondo che cambia, compreso i quadri dirigenti a tutti i livelli, è fondamentale imboccare strade che sappiano coniugare l’antico con il moderno, l’umiltà nel confronto, la modestia e la probità nel comportamento, la fatica della mediazione, lo studio sempre, la curiosità, l’approfondimento, la costruzione di una visione del futuro. Questi sono alcuni degli ingredienti per essere autonomi. Solo a quel punto il confronto con la politica è alla pari, consci della nostra provenienza, delle nostre radici e della nostra storia. Il gruppo dirigente, tutto, compreso anche l’ultimo dei volontari o le tecnicalità che operano nei servizi deve essere pertanto coinvolto in un processo formativo imponente, continuo, giornaliero. La democrazia, il senso vero della libertà, quindi l’autonomia, passano anche attraverso la gioia e l’abnegazione che manifestiamo nel trasmettere le esperienze.  

Da bambino a me piaceva disegnare i cerchi, perché erano rotondi e non spigolosi perché mi donavano il senso dell’armonia e allora costringevo mia madre ad acquistare il compasso e volevo sempre quelli più belli perché convinto che un bel compasso fosse sinonimo di maggior precisione. I cerchi li disegnavo concentrici. Questa metafora mi serve per assegnare una disciplina, un ordine all’importanza delle materie da trattare.

Il cerchio più grande non si può non assegnarlo alla Pace. Senza di essa il mondo si impoverisce umanamente e materialmente, l’inquietudine aumenta esponenzialmente, le genti si mettono in moto alla ricerca di territori dove regna la libertà, la democrazia, la prosperità, dove ognuno insieme alla comunità, possa ambire ad un vissuto sereno. I padri fondatori, a Ventotene, hanno disegnato, con lungimiranza, l’Europa dei popoli, quel continente così pregno di Welfare e di umanesimo e gli hanno assegnato l’essere il baluardo dei processi di pace. Ancora non siamo pronti, stiamo scontando un notevole ritardo derivante da interferenze nazionalistiche e sovraniste, interne ed esterne, dall’essere divenuti troppo grandi senza un percorso di sedimentazione, non siamo ancora riconosciuti soggetto tessitore, rammendatore e propositore autorevole delle controversie del mondo. Troppi i conflitti che stanno scuotendo e tormentando il mondo e che fanno dire ad alcuni che siamo di fronte alla terza guerra mondiale a pezzi. E poi il conflitto tra Ucraina e Russia che ha ampiamentesuperato i confini di quegli stati e che sta coinvolgendo l’intero pianeta. Possiamo considerarla un pezzo di quella 3° guerra mondiale di cui sopra? Certamente si. L’imperialismo mai sopito, diviene sempre più aggressivo, più veemente, è una prerogativa di un solo soggetto? la risposta è no. Nella nuova era della trasformazione e della transizione tra il vecchio e il nuovo, che sarà infinito, le sfide economiche e finanziarie sono portentose e il tentativo di predominio politico, economico nonché culturale, di territori sempre più vasti è lì a testimoniare. L’egemonia, la voracità, dei nuovi imperialismi canibalizzeranno molta parte del mondo, quei paesi che detengono materie prime di indubbio interesse.

Quindi le genti si mettono in cammino. La più grande e veloce migrazione degli ultimi anni sta coinvolgendo la nostra Europa. Ho la netta impressione che questo processo abbia alti contenuti di strabismo, infatti siamo moltoattenti alla migrazione delle persone di colore e molto meno interessati alle migrazioni dei bianchi. Questa è la politica sparsa a piene mani da decenni dalla destra che ha coinvolto anche le persone di sinistra. Il mondo del lavoro, il mondo degli anziani, l’associazionismo, il popolo della Pace, il 5 novembre si è messo in cammino, preceduto da iniziative territoriali, sul tema della pace. La piazza piena, consapevole, colorata, a chiedere ai contendenti di fermarsi e aprire il negoziato. Poi è calato il silenzio. Come se quel popolo che è sceso nelle piazze avesse smarrito il punto di riferimento aggregante. Come battere allora questo schizzofrenismo? Ecco, la Cgil deve farsi promotrice di dare respiro a questo popolo, coinvolgendo attivamente i lavoratori, gli anziani, i giovani, dei paesi europei. Per la nostra gente è vitale ricreare una cultura della pace, perché è la nostra popolazione che a fronte ai tanti conflitti va in sofferenza. Perché il mondo del lavoro è per antonomasia il popolo della pace, perché siamo dei costruttori e perché il mondo degli anziani ha visto, vissuto, respirato i drammi e le tragedie delle guerre.

Il secondo cerchio lo rappresento con l’Ambiente e la relativa questione climatica. Come ascoltare e conciliare il modello produttivo e socio economico che ha causato ingenti danni, con il grido della terra? Come applicare la distruzione creatrice, cioè come distruggere i prodotti e i relativi cicli e sostituirli con altri rispettosi, rammendatori e curatori dell’ambiente? La sfida è possente, ardua. La fame insaziabile del consumo deve arretrare, i governi del mondo non hanno assunto modelli comportamentali probi perché elettoralmente questi processi non riscontrano il consenso degli elettori e quindi è sufficiente il movimento Fridays for future, con le sue sporadiche iniziative a modificare il paradigma che veda la centralità dell’ambiente? Credo proprio di no. Il movimento sindacale a tutti i livelli, a partire dalla negoziazione sociale territoriale deve assumere la questione dell’ambiente centrale nelle proprie politiche. Per rientrare nel nostro Paese, il nuovo civismo deve ripartire dalla cura delle città e delle aree interne evitandone l’abbandono e la politica abbia la decenza di non commuoversi a fronte degli accadimenti successi ad Ischia. Quando si devasta il territorio, quando si edifica nell’impossibile, quando si chiudono canali e torrenti sapendo che l’acqua ha memoria allora si compiono atti criminali. Quando si premiano le irregolarità con icondoni più o meno mascherati allora si compiono atti banditeschi. Quando si affossano provvedimenti quali la messa in ordine del catasto, facente parte della progettualità del Pnrr, allora è l’apoteosi della deregolamentazione e il messaggio è ognuno faccia quello che crede in barba alle necessità della comunità. Questo vale anche per la querelle sugli stabilimenti balneari e sulla loro messa a gara. Sul tema dell’ambiente il governo Meloni ha già deciso la propria filosofia che è quella del consumo del territorio in barba alla sua tutela. Ma i più accorti avevano la cognizione che costoro stanno scavando nell’essenza del capitalismo. Oggi possiamo dire adieu al capitalismo temperato.

Il terzo cerchio è la comunità allargata nella quale viviamo, cioè l’Europa, scossa in questi giorni da scandali che fanno molto male, perché sono coinvolti esponenti politici e familistici del nostro Paese. Perché disorientano, perché amputano quell’immaginario collettivo per il quale interi popoli hanno deposto le loro idealità, l’hanno sempre considerata un modello ditrasparenza e di onestà. Il danno causato alle centinaia di milioni di persone che praticano la rettitudine è inimmaginabile, l’offesa prodotta alla famiglia del socialismo democratico e al sindacalismo, rischia di essere indelebile. Chiediamo pertanto alla giustizia europea di non arretrare, di procedere celermente e consegnare ai 500 milioni di cittadini un messaggio di serietà, pena il decadimento dell’idea stessa di Europa.

I nostri giovani dall’Erasmus in poi trovano nel vecchio continente molte risposte ai loro sogni, alla costruzione del loro futuro, intendono non solo trovare riscontri, ma essere soggetti del cambiamento. La considerano una sfida che merita di essere esplorata. Alla domanda dove è il futuro per i giovani italiani? La risposta di 3 ragazzi su 10 dicono che è all’estero. Perché? Perché sono alla ricerca di condizioni di lavoro e di vita migliori, perché vogliono trovare una dimensione professionale soddisfacente, perché necessitano di una reale autonomia finanziaria e per le ragazze di una possibilità concreta di superare il divario di genere che nel nostro paese incide ancora molto su redditi e sulle opportunità di carriere. Se ce ne fosse bisogno dal punto di vista del genere con l’elezione del Presidente del Consiglio donna, noto paradossalmente un arretramento. Certo abbiamoparlato dei nostri giovani che se ne vanno ad esplorare nuovi mondi, sono i migranti in giacca e cravatta che raggiungono le grandi capitali europee e non solo, in treno, in aereo, in auto e che probabilmente non faranno più ritorno nei loro territori d’origine, se non per godere, turisticamente il più bel paese al mondo. Siamo al declino perché formiamo risorse umane e le lasciamo andare senza avere lo stesso beneficio dagli altri paesi. Siamo belli ma non attraenti. L’Europa però deve cambiare approccio in merito alle migrazioni di coloro che fuggono dalle guerre e dalle condizioni economiche devastanti, derivanti anche dall’ampliamento delle carestie. Se le migrazioni sono un processo millenario, inarrestabile, allora non sono sufficienti le ondivaghe politiche che hanno mal gestito questi processi, non è attraverso l’arte predatoria che si aiutano quei popoli, ma anzi si favoriscono i tiranni che governano quei paesi. Possiamo affermare che nello spirito di Ventotene l’Italia è l’Europa e l’Europa è l’Italia? Certamente si. Che i Paesi di primo approdo sono l’Europa? Certamente si. Che vanno attivate politiche di inclusione poderose. Certamente si. Che non si lasciano soli alla mercè delle organizzazioni criminali queste donne uomini e bambini. Che questi uomini, donne e bambini sono una parte del futuro dell’intera Europa e in particolare del nostro Paese da anni in invernodemografico. Eppure i Paesi governati dalladestra hanno attivato una narrazione che contrappone gli ultimi ( migranti solo di colore ) con i poveri ( che da ultimi passano a penultimi ) in una classifica avvilente. Non ci dicono questi barbari che ci governano che una parte della cura dei nostri giovani ed anziani viene compiuta dai migranti, che una parte del cibo viene coltivata e raccolta dai migranti, non ci dicono che nelle stalle orami ci sono solo migranti, non ci dicono che una parte dell’attività industriale, la più povera , viene prodotta dai migranti, non ci dicono che i lavori più umili e pericolosi vengono fatti dai migranti, ma ci dicono che i migranti sono brutti, cattivi, violentatori e quindi criminali. La politica quella buona, di cui la Cgil è parte fondante deve trovare una nuova narrazione e in un grande sforzo culturale, modificare il paradigma migrante uguale invasore. Su questa millenaria questione dobbiamo spenderci e per fare ciò abbiamo bisogno di studiare, di approfondire e di coinvolgere.

Poi il quarto cerchio che parla del nostro Paese, di quale sforzo siamo chiamati a compiere per contribuire al suo cambiamento, consci che le difficoltà sono aumentate dopo il 25 settembre che ha consegnato il nostro Paese alla destra, processo mai accaduto dalla fine della 2° guerra mondiale. Potremmo compiere uno sforzo per comprendere come sia potuto accadere, rischieremmo di farci del male. Nonostante ciò, per la responsabilità dataci, dobbiamo indagare del perché metà Paese non ha espresso il proprio voto e scientemente ha deciso di abbandonare un pezzetto di democrazia, dobbiamo scavare del perché un terzo dei lavoratori ha votato la destra e la metà ha votato centro destra, questa analisi non deve essere di proprietà dei centri studi o dei sondaggisti deve appartenere a noi alle nostre strutture orizzontali, segretari di lega, rsu, Camere del Lavoro. E’ venuto il tempo nel quale dobbiamo capire quali intime ragioni portano il nostro iscritto a votare per i fascisti, non mi convincono i perché finora pensati. Ora abbiamo questi che ci governano e allora possiamo decidere che molte cose non devono essere approvate e che dobbiamo ostacolare, consci della nostra forza inadeguata: la manomissione dei diritti civili, la manipolazione della Costituzione in senso autoritario, il presidenzialismo lo è, l’ulteriore frammentazione del territorio, mi riferisco all’autonomia differenziata, la riscrittura della storia, l’aumento della povertà e delle disuguaglianze, l’appropriazione dei saperi a favore di coloro che socialmente hanno più forza ( tutta la discussione sul merito ne è la plastica raffigurazione ) e così via. Ma quale è l’idea che noi abbiamo dell’Italia? È ben delineata ed espressa nei documenti congressuali, integrati con il documento l’interesse generale.Come riassumere pagine e pagine scritte fitte fitte. Ne abbiamo parlato con il migliaio di pensionate e di pensionati nelle assemblee congressuali e con i 2500 partecipanti alle votazioni. Un numero considerevole di donne e uomini che non sono state fiaccati dalla pandemia, dalla crisi, dalla disperazione derivante dal risultato elettorale. Le nostre donne e i nostri uomini che nonostante l’inclemenza del tempo, freddo, pioggia, l’incombere dell’imbrunire, hanno voluto esserci, hanno meticolosamente e scrupolosamente espresso il loro giudizio, a volte tormentato a volte ottimistico altre icastico. Sempre con lo sguardo rivolto al futuro. Lo Spi vi ringrazia per tutto ciò. Tutto bene? Assolutamente no. Ci hanno indicato, con sapienza, le strade da percorrere, ci hanno segnalato gli errori commessi, si sono espressi con indulgenza nei confronti della Cgil perché riconoscono in essa la protagonista dei cambiamenti, quelle metamorfosi che andranno guidate con perizia. Ci hanno parlato del loro invecchiamento, della loro salute, del disagio crescente dei loro figli e dei loro nipoti, delle loro solitudini che tendono a dilatarsi. Nel merito come immaginano l’orizzonte? Certamente non con lo stivale dal volto malinconico ripiegato su se stesso forse vicino al bivio tra rassegnazione e angoscia, certo non a corto di speranza ( Censis ), niente di tutto questo che pure è lì che fa capolino, certo non la catastrofe sociale derivante dalla povertà e dalla disuguaglianza e dalla disoccupazione, non dal fallimento della politica economica, no, però le persone hanno bisogno di una nuova narrazione che troviamo nei nostri documenti.

Grazie a Spinsieme (il nostro giornale regionale che entra trimestralmente nelle case dei nostri iscritti ) abbiamo interloquito virtualmente con i nostri 24.000 iscritti che hanno potuto leggere e quindi approfondire i testi congressuali compreso il contributo dello Spi Nazionale che va sotto il titolo “ l’Interesse Generale “. 44 assemblee comunali, che hanno coinvolto tutti i 64 comuni della Provincia di Mantova, 12 i congressi di lega, abbiamo coinvolto + di un migliaio di persone e 2500 partecipanti al voto. Tutta la struttura, che ringrazio, ha contribuito alla realizzazione di tutto questo. 46 collaboratori e oltre 200 volontari questo è il tesoro che possiede lo Spi di Mantova. Presenti in 64 Comuni almeno con una presenza settimanale, proprietari unici di 2 importanti sedi sindacali, comproprietari con la Cgil di altre 2 sedi e poi presenti in affitto o in comodato d’uso su tutto il territorio mantovano. Eccolo il sindacato di strada, eccola la nuova frontiera del sindacalismo confederale, essere presenti riuscendo a coniugare gli strumenti digitali con la fisicità, l’antico con il moderno, proiettandoci nel futuro, in un viaggio straordinariamente complesso ma avvincente, essere parte attiva del cambiamento, per poterlo adattare alla presa in carico ( abbiamo lavorato su Enea ed Anchise ) affinchè la modernità sia unarisposta agli ultimi. Per fare tutto ciò abbiamo bisogno di alimentare l’inclusione, mettendo a disposizione i nostri saperi, facendo esplodere i nostri talenti, sapendo persino rinunciare ad un pezzetto del nostro ego e delle nostre recondite paure.

La discussione congressuale è stata autentica e passionale. Se dovessimo unire in un’unica tessitura i contributi di idee che ci hanno dato le nostre anziane e i nostri anziani saremmo in grado di vergare il paese che immaginiamo. Mi aiutera’ in questo l’intervento di Scandolari e il contributo della Bondioli.

Parto da qui: dal Genere. Un Paese moderno, civile, non può rassegnarsi all’idea che quotidianamente i femminicidi, le violenze, insanguinino le nostre case, le nostre strade. Da questo congresso debbono partire due proposte : la prima è quella di posare una pietra d’inciampo in tutti i luoghi laddove avvengono i femminicidi per ricordare e che sia da monito, la seconda è che gli uomini realizzino una iniziativa di soli uomini che produca l’effetto dell’attenzionamento e della centralità di questo tema che oramai si è riversato anche nel campo degli anziani. Le donne non si possiedono. Legato al genere vi è tutta la questione legata all’Iran, all’Afghanistan e a tutti quei paesi nei quali le donne sono violentate fisicamente, moralmente, idealmente e culturalmente. L’Europa per i compiti assegnateli non può sottrarsi a contrastare radicalmente questi accadimenti.

Dai congressi è altresì emerso che non è sufficiente che noi anziani , in qualità di padri e nonni, accompagniamo le nuove generazioni a divenire fanciulli e poi donne e uomini, dobbiamo utilizzare tutti i saperi possibili affinchè venga trasmessa la memoria, il treno, la costituzione, la resistenza in modo che la reminiscenza dia continuità alle generazioni. Ho accennato questo tema che svilupperà James.

Parte importante della discussione è stata riservata al lavoro. Ho trovato molta modernità nei pensieri della nostra gente. Sfatiamo anche il detto che i vecchi non hanno idee sul lavoro perché lontani da quel mondo. No. Possiedono esperienza, studiano, approfondiscono, ascoltano le nuove generazioni. Ci dicono che il lavoro deve essere produzione di ricchezza, di autonomia, di auto-indipendenza economica e finanziaria, di coniugamento tra il proprio sapere e il contenuto dell’attività, di arricchimento professionale, di sicurezza. Siamo di fronte a ciò? No, non si ha la certezza di fare ritorno a casa propria, 500 mila infortuni sul lavoro, ogni anno, di cui più di 3 al giorno mortali, la sicurezza è considerata un costo e non un investimento. La precarietà è oramai divenuta diffusissima, il governo Meloni introducendo i voucher ha deregolamentato il lavoro, lo ha ulteriormente svilito e impoverito ( si lavora per restare poveri ) Il valore del lavoro e quindi la sua quantificazione salariale ha raggiunto livelli vergognosi, i dati sono lì a testimoniarlo. Il non aver introdotto il salario minimo grida vendetta. A chi assegnare la responsabilità se non ai governi che hanno legiferato questa deregolamentazione e alla classe imprenditoriale sempre meno illuminata e sempre più ingorda, che fa man bassa dei diritti, che realizza prodotti di bassa qualità e con organizzazioni obsolete. Il nuovo governo ci ha manifestato l’intendimento di lasciare libera scelta e di lasciar fare ai generatori di impresa. Ne abbiamo le tasche piene del mantra “ lasciamoli fare lasciamoli lavorare “ stiamo provando sulla nostra pelle, con le riforme sanitarie lombarde, cosa sia la libera scelta. Quale modello allora per il nostro paese? Il nanismo industriale alla lunga diviene non competitivo, il piccolo non sempre è bello ne produttivo ne innovativo. La flessibilità, le tecnologie abbisognano di investimenti che le piccole e piccolissime imprese non riescono a sopportare. Il Paese sente la mancanza di nuova classe dirigente imprenditoriale che non siano i padroni, che sappia scommettere e puntare sulle proprie forze senza mendicare gli aiuti da parte dello stato. Che sappia mirare ai processi novativi e che sappia valorizzare le risorse umane. Che abbia conoscenza del territorio nel quale abita e restituisca una parte delvalore prodotto.Una classe imprenditoriale che ascolti il grido della terra. Questo ed altro immaginiamo. Sull’invecchiamento della popolazione abbiamo scritto, letto , approfondito, ma questo tema decisivo per il modello sanitario e per il welfare non permea ancora la popolazione. Eppure questo è il 5° settore produttivo della nostra regione.   Basterebbe questo, ma non è nell’agenda, non è nelle priorità nemmeno del governo meloni. La legge sulla non autosufficienza non fa un passo in avanti, si è incagliata nei meandri costruiti dalla destra. Nel frattempo le persone soffrono, si infragiliscono, si impoveriscono. La domiciliarizzazione non risponde alle necessità, i mmg mancano, i medici ospedalieri si licenziano e vanno ad ingrossare le cooperative che poi prestano gli stessi medici alle strutture gettonandoli, il personale socio-sanitario privato ( Rsa ) migra verso il pubblico abbassando paurosamente i livelli di qualità nell’assistenza mi fermo qui. Ci sarebbero tutti gli estremi per assumere atteggiamenti rivoluzionari.

Infine le scelte del governo attraverso la legge di bilancio in discussione in queste ore e che hanno portato migliaia di donne e uomini a manifestare in tutte le piazze d’Italia e che ha visto le pensionate e i pensionati partecipare a llo sciopero organizzato dalla Cgil e dalla Uil e alla manifestazione organizzata dallo Spi in Piazza Apostoli a Roma, venerdì scorso. Esprimo una raccomandazione che Spi/Fnp e Uilp mantengano lo storica e collaudato rapporto unitario, propedeutico alla ricostruzione delle ragioni per lo stare insieme delle Confederazioni. I provvedimenti hanno visto il governo ondivagare ma non cambiare la programmazione di fondo, che resta un’impostazione che premia l’infedeltà fiscale, che sposta risorse dalle pensioni alla flat-tax, che punisce le donne, che non ragiona sui giovani, che disinveste sulla sanità e sulla scuola, che impoverisce le pensioni di coloro che hanno pagato fino all’ultimo centesimo, a quei lavoratori che hanno fatto i turni, lavorato i sabati e le domeniche, le notti. Lo dicano perdio che stanno programmando l’impoverimento delle pensioni e che la perdita non verrà più recuperata. Ricordo a tutti che la mancata perequazione all’inflazione è un danno ad eternum. Questo governo sta premiando gli evasori, manda segnali devastanti a coloro che pagano.Stanno minando il welfare che ha lenito le fragilità, introducendo la defiscalizzazione e la decontribuzione. Siamo di fronte ad un equivoco incredibile, cioè il salario aumenta se coloro che pagano le tasse, che servono per altro, contribuiscono a questo aumento. Quindi ci rivedremo presto in piazza. Questi qua sono matti, d’altronde hanno messo ai vertici del comando politico ministri in conflitti di interessi, ministri che hanno perso una montagna di fondi per non essere riusciti a presentare i progetti, ministri indagati. Per ultimo:

Dai territori sento nascere e crescere uno stormir di fronde qualificandosi come un’insofferenza nei confronti delle volontarie e dei volontari dello Spi. La loro passionalità ha antiche radici e non sempre si coniuga con il grande attaccamentodelle nuove generazioni sindacali, quindi mi permetteranno le categorie presenti e le responsabili dei servizi di rivolgere a loro una preghiera, tenetevele strette quelle donne e quegli uomini che volontariamente donano il loro tempo. Sono lì quotidianamente che ci mettono il loro bel volto nei confronti dello scibile umano, che rendono le sedi confortevoli.

La loro non è saccenza ma una passione e un innamoramento per quel grande quadrettino rosso che rappresenta la più grande organizzazione di donne e uomini liberi del nostro Paese e non solo.

Il nostro popolo, la Segreteria, i Segretari di Lega, gli Spi/Inca/Caaf, i nostri volontari li saluto così:

se fossimo nel 1600 in Spagna, citerei Miguel de Cervantes e farei un inchino come forma di ringraziamento, di saluto e di stima, ma siamo nel 2022 e quindi affido il mio ringraziamento ad una semplicissima slide :

GRAZIE

PER IL TEMPO E L’AMORE CHE MI AVETE DEDICATO .